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Gli stemmi


L'Araldica è la scienza del blasone; la scienza cioè che “regola e governa la composizione degli stemmi gentilizi” (GUELFI CAMAJANI Piero, Dizionario Araldico, Manuali Hoepli, 1940, p. 43). Anticamente era la scienza degli araldi: cioè di coloro i quali avevano il compito di riconoscere, nei tornei od in battaglia, le armi dei cavalieri.

L’origine degli stemmi, così come attualmente si vedono, è da ritenersi risalire al tempo di Ottone I Imperatore. Il primo trattato del blasone conosciuto, apparve in Francia verso il 1180 sotto il regno di Filippo Augusto. Se le prime armi apparvero nei tornei, gli esempi dei veri stemmi non si trovano che verso la fine del XII secolo. Però fino intorno al 1260 non erano propri delle persone che li portavano ma dei loro domini; infatti, il Signore cambiando stato e signoria, mutava sigillo e divisa. Un importante impulso alla diffusione si ebbe in occasione delle crociate. Fino a quando il Signore stava nelle sue terre non ebbe necessità di un segno distintivo ma quando si ritrovò lontano dai propri possedimenti e confuso con la moltitudine dei crociati, sentì il bisogno di avere un segnale che lo distinguesse dagli altri, coperti come lui dall’armatura. Ogni cavaliere quindi scelse “un colore conforme ai sentimenti” ed un segno esprimente qualche “glorioso suo fatto o personale accidente” o avente qualche richiamo o somiglianza con il proprio nome: una colonna per i Colonnesi, l’orso per gli Orsini, la carretta per i del Carretto, ecc. (GUELFI CAMAJANI Piero, Dizionario Araldico, cit., pp. 526-527).

Dunque, sin dalle remote epoche passate, lo stemma costituiva un abituale mezzo di identificazione ed era ritenuto esclusivo privilegio della famiglia legittima titolare dello stemma stesso. Esso era normalmente connesso al possesso di un titolo nobiliare, ma poteva spettare anche a famiglie non nobili ma di “distinta civiltà” (i c.d. stemmi di cittadinanza: si veda per esempio l'art. 30 dell'Ordinamento dello Stato Nobiliare Italiano del 1943 che prevedeva appunto il “riconoscimento di stemmi di cittadinanza a favore di famiglie non nobili ma di distinta civiltà, che fossero in grado di provare con documenti autentici o riproduzioni di monumenti di goderne da un secolo il legittimo possesso”) e agli ecclesiastici.

In regime monarchico, lo stemma nobiliare era considerato quale rappresentazione grafica del titolo ed era, quindi, considerato alla pari di quest’ultimo, cioè un diritto di natura personale. Pertanto, sul piano civilistico, ne era assicurata la tutela giudiziale nelle ipotesi di usurpazione o contestazione della proprietà o del possesso. Sotto il profilo penale, l’uso abusivo di uno stemma di carattere nobiliare, e principalmente l’illecita attribuzione di una corona nobiliare, poteva integrare il reato di cui all’art. 498 c.p., risolvendosi nell’usurpazione di un titolo.
Invero, fin dai primi anni della nascita del Regno d'Italia, la monarchia si preoccupò di dettare precise norme araldiche relative all'uso ed all'ornamento esteriore degli stemmi. Per l’art. 29 dell’ultimo Ordinamento dello Stato Nobiliare Italiano (Regio Decreto 7 giugno 1943, n. 651) le persone che possedevano uno stemma gentilizio, o ne ottenevano la concessione o il riconoscimento, potevano farne uso esclusivamente “con le ornamentazioni proprie delle loro rispettive qualità o dignità conformemente al Regolamento”. A questo Regolamento (Regolamento per la Consulta Araldica del Regno), emanato con R.D. 7 giugno 1943, n. 652, era allegato un Vocabolario Araldico contenente i termini tecnici usati per la descrizione (blasonatura) degli stemmi.
L'araldica infatti ha una terminologia sua propria la cui conoscenza è necessaria sia per descrivere gli stemmi, sia per comprendere le descrizioni degli stemmi che si trovano nei vari testi di araldica (per esempio, per indicare e capire i colori e le posizioni delle figure o “pezze” araldiche). In altre parole, essa serve per blasonare (cioè descrivere) gli stemmi secondo i principi dell'araldica e, parallelamente, dato che generalmente nei testi araldici si trovano le blasonature (cioè le descrizioni) degli stemmi e non le immagini, per capire la composizione grafica di uno stemma semplicemente leggendo la blasonatura di esso. Lo studio di essa permette poi l'approfondimento della simbologia araldica che è molto varia, trattandosi di una scienza antichissima. Le figure (o pezze) araldiche possono essere figure propriamente araldiche, come il palo, la fascia, la banda, le losanghe ecc., o figure naturali, come quelle riproducenti animali, fiori, piante, uccelli, mestieri ecc., oppure figure ideali, come quelle che si riferiscono per esempio alla mitologia. Ogni figura araldica ha un preciso significato: per esempio la Banda, pezza araldica onorevole, è simbolo del cavalierato o di alti gradi militari; il Fulmine simboleggia la potenza ed i poteri dell'eloquenza; la Cometa significa chiarezza di fama, nonché virtù superiore e potenza eterna, dato che brilla di luce perenne; il Levriere, cane addestrato a riconoscere le lepri, rappresenta l'animo costante nel seguire una impresa; la Fede, figura consistente in due mani che si stringono, simboleggia l'amicizia, l'unione, la reciproca assistenza; ecc.. Il significato di ogni figura può poi variare in considerazione della sua esatta forma, posizione e colore (smalto) ed in considerazione delle altre figure presenti nello scudo. Per tutto ciò che riguarda la simbologia e la terminologia araldica è fondamentale il citato Dizionario Araldico del Conte Piero GUELFI CAMAJANI.

Lo scudo, cioè il fondo su cui si disegnano le figure araldiche, in origine aveva forme assai diverse. L'ultimo Regolamento per la Consulta Araldica del Regno, approvato con il R.D. 7 giugno 1943, n. 652, stabilì che si sarebbe dovuto usare lo scudo tradizionale italiano, appuntato per gli uomini e ovato per le donne, escludendosi per le future concessioni ogni altra foggia (art. 59).

Oltre allo scudo ed alle figure in esso disegnate, fanno parte della simbologia araldica gli ornamenti dello scudo, cioè quegli elementi che, esteriori allo scudo, servono ad indicare dignità proprie del titolare dello stemma. I c.d. ornamenti sono di due specie: ereditari e personali. I primi sono per esempio le corone, gli elmi, il mantello, ecc.. I secondi sono per i prelati: i cappelli, le mitre, i pastorali, la tiara; per i militari: le ancore, le bandiere, i cannoni, ecc.; per i cavalieri dei vari Ordini: la croce accollata dietro lo scudo, la collana, il nastro con la croce pendente, ecc..

I principali ornamenti indicanti la nobiltà sono le corone e gli elmi.
Le corone si pongono sopra lo scudo e rappresentano il grado nobiliare per il tramite della loro forma.
Anche gli elmi si pongono sopra lo scudo e rappresentano il grado nobiliare per il tramite della loro forma, colore e posizione, mentre non sono indizi di dignità la superficie rabescata, le bordature o cordonature dorate o argentate.

Gli svolazzi (o lambrecchini) sono dei pezzi di stoffa ritagliata a fogliami dei colori dello scudo che, partendo dall'elmo, ricadono intorno allo scudo al fine di dargli un aspetto di eleganza (artt. 98-100 del Regolamento del 1943).

I cimieri (artt.101-104 del Regolamento del 1943) sono delle figure poste sopra l'elmo, generalmente figure chimeriche o animali, che servivano a dare al cavaliere “una apparenza più fantastica e formidabile” (GUELFI CAMAJANI P., Dizionario Araldico, cit., p. 139).

I manti (artt. 105-108 del Regolamento del 1943) o mantelli sono riservati agli insigniti di potestà sovrana, spettando quindi a Re, Principi e Duchi.

Si richiamano alla tradizione cavalleresca i motti (artt. 109-111 del Regolamento del 1943) che consistono in frasi che racchiudono un pensiero od una sentenza; se formati al massimo di due o tre parole, sono detti “gridi d'arme”. Vengono posti in una fascia sotto lo scudo.

Infine, come accennato, lo scudo può essere ornato da elementi personali che costituiscono la rappresentazione di dignità cavalleresche, come quelle dei decorati dell'Ordine Supremo della SS. Annunziata o di altri Ordini equestri, oppure che costituiscono la rappresentazione di altre distinzioni come quelle degli ecclesiastici, dei magistrati, degli ufficiali di terra, d'aria e di mare, ecc. (artt. 120-128 del Regolamento del 1943).

Si è detto che fin dai primi anni della nascita del Regno d'Italia, la monarchia si preoccupò di dettare precise norme araldiche relative all'uso ed all'ornamento esteriore degli stemmi (per l'elenco dei vari provvedimenti normativi emanati, si veda La legislazione del Regno d'Italia nella sezione LA NOBILTA' di questo sito). L'evoluzione normativa in materia culminò con l'emanazione nel 1943 dell'ultimo Ordinamento dello Stato Nobiliare Italiano e dell'ultimo Regolamento per la Consulta Araldica del Regno. Questi due atti normativi rappresentano quindi, in quanto ultimi emanati prima della caduta della Monarchia, la massima evoluzione del diritto nobiliare italiano e ad essi si farà riferimento in questo sito nel trattare delle questioni araldiche e nobiliari.