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(Testo gentilmente concesso dall'autore: Conte Avv. Gherardo Guelfi Camaiani)   

 

             Lo Statuto albertino, promulgato nel Regno sardo nel 1848 ed esteso ai territori via via unificati, all'art. 79 (per il quale: “i titoli di nobiltà sono mantenuti per coloro che vi hanno diritto; il Re può conferirne dei nuovi”) prevedeva a favore degli insigniti di un titolo nobiliare da parte di una Monarchia preunitaria, la garanzia della conservazione del titolo nobiliare loro spettante. Infatti, mentre con la seconda parte dell'art. 79 si riservò al Re la prerogativa di conferire nuovi titoli nobiliari, con la prima parte si affermò il principio del mantenimento, a favore dei legittimi investiti, dei titoli che già esistevano negli Stati che man mano andarono a formare il Regno d'Italia.

            Invero, la particolarità del Regno d'Italia fu quella di aver voluto conservare validità ai titoli nobiliari concessi dai vari Sovrani degli Stati preunitari. Anzi, i titoli concessi da Sovrani italiani o stranieri che regnarono nelle varie parti d'Italia prima della unificazione nazionale ai propri sudditi, divenuti poi cittadini italiani per effetto della unificazione, furono considerati come titoli italiani e ad essi equiparati  a tutti gli effetti. Tuttavia, per evitare abusi ed usurpazioni, sin dai primi anni del Regno, si integrò il principio del mantenimento con quello della legittimità del titolo e della legittimità del diritto del preteso possessore, da dimostrarsi provando sia l'origine legittima del titolo, sia la sua legittima trasmissione in base alle formule di trasmissibilità contenute nei diplomi di investitura e di concessione ed in base alle leggi che nel passato nei vari Stati regolavano la materia della successione nei titoli nobiliari (in tal senso: MISTRUZZI DI FRISINGA, Trattato di Diritto Nobiliare Italiano, Giuffrè, Milano, 1961, vol. III, p. 95).

 

            In linea generale e prima di esaminare le principali leggi emanate in materia nobiliare, possiamo dire che per dare pratica attuazione alla disposizione contenuta nella prima parte dell'art. 79 dello Statuto fondamentale del Regno, fu stabilito il principio per il quale gli insigniti di un titolo nobiliare derivante da antica concessione, avrebbero potuto usare pienamente e pubblicamente il loro titolo solo se esso fosse risultato iscritto in appositi registri, libri ed elenchi nobiliari tenuti da un organo allo scopo creato: la Consulta Araldica.  Mentre in un primo momento tale iscrizione poté avvenire anche d'ufficio ed in base a prove sommarie, l'ultima legislazione nobiliare (in particolare a partire dal 1933) impose all'insignito, quale condizione per l'iscrizione nei registri nobiliari e quindi quale condizione per l'uso del titolo, l'ottenimento di un formale provvedimento ricognitivo della propria posizione nobiliare, previo espletamento di una procedura di carattere amministrativo avanti gli organi araldici dello Stato. Tale attività ricognitiva si rese necessaria in considerazione anche del fatto che il Regno d'Italia con la legislazione successiva al 1926 decise di uniformare, con proprie norme, tutta la materia della successione nei titoli nobiliari; norme che sostituirono quelle vigenti negli antichi Stati preunitari e le regole di trasmissibilità contenute nei diplomi di investitura.

 

            Il primo atto normativo che ebbe per oggetto i titoli nobiliari fu il R.D. 10 ottobre 1869, n. 5318, con il quale venne istituita la Consulta Araldica del Regno. A questa fu affidata innanzitutto una generale funzione consultiva: il parere della Consulta era obbligatorio per l'adozione di qualsiasi provvedimento governativo in materia araldica, ad eccezione delle concessioni fatte da Sua Maestà il Re. Inoltre, essa fu incaricata di tenere un registro di titoli gentilizi (art. 7), stabilendosi il principio dell'obbligatorietà dell'iscrizione in detto registro affinchè l'insignito di un titolo nobiliare potesse esigere di vedersi pubblicamente attribuito il titolo a lui spettante.

 

            Con il successivo R.D. 8 maggio 1870, fu approvato il Regolamento della medesima Consulta Araldica contenente le norme per l'iscrizione nel suddetto registro di titoli gentilizi ed indicante i provvedimenti nobiliari. 

 

            Con il R.D. 11 dicembre 1887, n. 5138, la Presidenza della Consulta Araldica venne assunta dal Ministro dell'Interno e si stabilì che la Consulta dovesse nominare al suo interno una Giunta Permanente Araldica con il compito di esaminare tutte le istanze e tutti i provvedimenti in materia araldica.

 

            Con il R.D. 5 gennaio 1888 venne approvato un nuovo Regolamento della Consulta Araldica.

 

            Con il R.D. 7 aprile 1889, n. 6093, si deferì al Presidente del Consiglio dei Ministri la presidenza della Consulta Araldica.

 

            Con il R.D. 15 giugno 1889, in preparazione di un elenco nobiliare generale, si attribuì alla Consulta Araldica il compito di procedere “gradatamente alla registrazione generale delle famiglie che sono in legittimo ed attuale possesso di titoli nobiliari” (art. 1).  A tal fine si  decise di formare degli “Elenchi parziali, distinti in speciali e regionali” (art. 2). Negli Elenchi regionali, a cura di Commissioni locali regionali, vennero iscritte d'ufficio le famiglie italiane che erano “nell'attuale legittimo possesso di titoli nobiliari già registrati in analoghi elenchi o Libri d'Oro dei cessati governi italiani preunitari o che ottennero dai medesimi infeudazioni, investiture, concessioni, rinnovazioni o riconoscimenti di titoli nobiliari, o che furono regolarmente ascritte ai registri di Comuni che godevano di una vera nobiltà civica o decurionale” (art. 4). Fu prevista la creazione di un Elenco per ogni regione storica: Piemonte, Liguria, Lombardia, Venezia, Parma, Modena, Toscana con Lucca e Massa, Province romane, Province napoletane, Sicilia, e Sardegna (art. 5). In via transitoria e sulla base di prove sommarie del diritto al titolo, si permise l'iscrizione nei suddetti Elenchi regionali anche delle famiglie non ancora registrate presso la Consulta Araldica, cioè che non avevano ancora ottenuto un formale provvedimento di riconoscimento del loro titolo (art. 7).

 

            Con il R.D. 1° gennaio 1890, si dettarono le norme relative ai titoli ed agli stemmi della Famiglia reale e con il R.D. 27 novembre 1890, n. 7282, si determinò la forma degli stemmi dello Stato.

 

            Con il R.D. 5 marzo 1891, n. 115, si stabilì che le Commissioni regionali deputate alla formazione dei suddetti Elenchi regionali divenissero permanenti, con il compito anche di dare pareri sulle materie riguardanti la legislazione e la materia nobiliare del proprio rispettivo territorio, su richiesta del Ministro, della Consulta o del Regio Commissario.

 

            Il R.D. 8 marzo 1891, n. 116, stabilì la nomina di sei consultori onorari alla Consulta Araldica.

 

            I RR.DD. 2 luglio 1896, n. 313, e 5 luglio 1896, n. 314, introdussero un nuovo Ordinamento per la Consulta Araldica ed il relativo Regolamento. Accanto agli Elenchi regionali la cui compilazione proseguiva, furono istituiti quattro Libri araldici: il Libro d'Oro della Nobiltà italiana  e il Libro araldico dei titolati stranieri, che sostanzialmente sostituirono gli Elenchi speciali di cui al R.D. 15 giugno 1889, il Libro araldico della cittadinanza ed il Libro araldico degli enti morali.

 

            Il R.D. 13 aprile 1905, n. 234, approvò il Regolamento Tecnico Araldico per l’ornamentazione esteriore degli stemmi con il quale furono dettate le norme relative alla forma degli scudi, degli elmi, delle corone, degli svolazzi, dei manti, ecc. e con il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 6 febbraio 1906 si approvò il Vocabolario tecnico-araldico ad integrazione del precedente Regolamento. 

 

            Con il R.D. 25 maggio 1905, n. 241, fu dato il Regolamento per le iscrizioni d'ufficio e per la formazione e pubblicazione dell’Elenco Ufficiale delle Famiglie Nobili e Titolate del Regno d'Italia. In tale Elenco sarebbero confluiti i vari Elenchi regionali che quindi avrebbero cessato di esistere.

 

            Nonostante i buoni propositi, il primo Elenco Ufficiale Nobiliare vide però la luce solo sedici anno dopo l'emanazione del suddetto Regolamento, e ciò avvenne per mezzo del R.D. 3 luglio 1921, n. 972, con il quale fu approvato l'Elenco Ufficiale delle Famiglie Nobili e Titolate del Regno d'Italia, poi pubblicato l'anno successivo. In tale Elenco figurarono tutte le famiglie iscritte nei precedenti Elenchi regionali debitamente riveduti, corretti ed integrati, ma con un asterisco furono contrassegnate le famiglie iscritte nel Libro d'Oro della Nobiltà italiana, cioè le famiglie che avevano ottenuto un decreto reale di concessione o rinnovazione od un decreto reale o ministeriale di  riconoscimento. Fu stabilito quindi il divieto, per le autorità civili e militari, per gli ufficiali di stato civile e per i notai, di attribuire in atti pubblici titoli nobiliari non inseriti nell'Elenco e, al fine di rendere notorio il contenuto dell'Elenco stesso, fu disposto che un esemplare dovesse essere trasmesso a tutte le Prefetture, Ministeri, archivi notarili del Regno ed all'archivio di Stato in Roma (art. 3). 

 

            Con il R.D. 16 agosto 1926, n. 1489 (come integrato dal R.D. 16 giugno 1927, n. 1091) si approvò il nuovo Statuto delle successioni ai  titoli e agli attributi nobiliari. Mentre sino a quel momento i titoli nobiliari preunitari erano stati riconosciuti nella forma e con le condizioni previste dalla originaria concessione (i titoli nobiliari guarentiti dall'art. 79 dello Statuto fondamentale del Regno, si riconoscono nella forma e colle condizioni della originaria concessione; art. 37 del R.D. 5 luglio 1896, n. 314), tale decreto intervenne nella materia nobiliare ponendo dei limiti alla trasmissione dei titoli per linea femminile. 

 

            Con il R.D. 21 gennaio 1929, n. 61, si introdusse nell'ordinamento giuridico italiano un istituto totalmente nuovo: l'Ordinamento dello stato nobiliare italiano, ove il riferimento al concetto di stato sta a significare che i titoli nobiliari rappresentano un ulteriore elemento dello stato delle persone, come il nome, l'adozione, la legittimazione (in tal senso: MISTRUZI DI FRISINGA, op. cit., p.  180). L'Ordinamento si divideva in tre parti: la prima conteneva le norme generali di legislazione nobiliare, disciplinava la potestà regia al riguardo, distingueva i vari provvedimenti nobiliari, poneva le norme per la concessione, il riconoscimento, l'uso, la perdita, la successione dei titoli e distinzioni nobiliari; la seconda contemplava l'ordinamento della Consulta e dell'ufficio araldico; la terza conteneva le norme procedurali circa le domande, i ricorsi, e gli atti di opposizione relativi a provvedimenti in materia nobiliare e circa la loro spedizione. L'art. 97 contiene l'elenco del Libri araldici tenuti dall'Ufficio Araldico, sotto la direzione del Commissario del Re. Al Libro d'Oro della Nobiltà italiana, al Libro araldico dei titolati stranieri, al Libro araldico degli stemmi di cittadinanza ed al Libro araldico degli Enti morali, già istituiti con il R.D. 313 del 1896, si aggiunse l'Elenco Ufficiale Nobiliare. In tale Elenco, “sono segnati i nomi e cognomi per ordine alfabetico di tutte le persone che si trovano nel legittimo e riconosciuto possesso di titoli e attributi nobiliari” (art. 102).

 

            La L. 27 maggio 1929, n. 810, dette esecuzione al Trattato, ai quattro allegati annessi e al Concordato, sottoscritti a Roma tra Italia e Santa Sede l’11 febbraio 1929.

 

            Il R.D. 10 luglio 1930, n. 974, approvò le disposizioni sulle Onorificenze degli Ordini equestri pontifici e sui titoli nobiliari pontifici e con il R.D. 1 ottobre 1930, n. 1405, si modificarono alcune norme del R.D. 61 del 1929.

 

            Con il R.D. 7 settembre 1933, n. 1990, venne approvato un nuovo Elenco Ufficiale Nobiliare, ora chiamato Elenco Ufficiale della Nobiltà italiana, che  fu pubblicato l'anno successivo; se si eccettua il supplemento per gli anni 1934-1936 (approvato con R.D. 1 febbraio 1937, n. 173), questo fu il secondo ed ultimo Elenco Ufficiale approvato dal Regno. A questa seconda edizione fu annesso in appendice un dizionario ufficiale dei predicati. E' importante sottolineare che nell'Elenco del 1933 figurarono, oltre alle famiglie iscritte nel Libro d'Oro della Nobiltà italiana (contrassegnate con un asterisco), le famiglie iscritte nei precedenti Elenchi regionali (già riportate nell'Elenco Ufficiale del 1921), ma il R.D. 1990 del 1933, previde per coloro che ancora non l'avessero chiesto, l'obbligo di domandare il riconoscimento del loro titolo; in mancanza dell'ottenimento di un formale provvedimento ministeriale di riconoscimento e della conseguente iscrizione nel Libro d'Oro della Nobiltà italiana, questi sarebbero stati esclusi dalle successive edizioni dell'Elenco Ufficiale.

 

            I RR.DD. 7 giugno 1943, n. 651 e 652, introdussero il nuovo Ordinamento dello stato nobiliare italiano ed il nuovo Regolamento per la Consulta Araldica del Regno. Tali decreti sono gli ultimi emanati prima della caduta della Monarchia ed in vigore a tale momento.