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(Testo gentilmente concesso dall'autore: Conte Avv. Gherardo Guelfi Camaiani)  

    L’ultimo Ordinamento dello Stato Nobiliare Italiano (Regio Decreto 7 giugno 1943, n. 651, artt. 38 e 39) aveva distinto i titoli nobiliari veri e propri dai trattamenti e dalle qualifiche nobiliari.
    Sono qualifiche le espressioni d'onore connesse al godimento di un titolo nobiliare o quelle di Don e Donna spettanti ai membri di determinate famiglie, principalmente lombarde, ed a determinate condizioni, e quelle di Nobil Homo e Nobil Donna spettanti ai membri di famiglie patrizie venete.
     E' trattamento d'onore quello di Altezza Eminentissima spettante al Gran maestro dell’Ordine di Malta (al quale spettava, per il secondo comma dell'art. 38 del R.D. 651/43, oltre a detto trattamento anche il titolo di Principe). Altri trattamenti come quelli di Illustrissimo, Chiarissimo, Magnifico, Eccellenza erano già caduti in disuso anche nella vita di relazione e non risultano elencati nell'ultimo Ordinamento dello Stato Nobiliare Italiano che sancì poi l'abolizione dell'uso della dignità di Grande di Spagna (i grandi feudatari erano chiamati ricoshombres e godevano del privilegio di parlare con il Sovrano; l'Imperatore Carlo V, sostituì tale trattamento con quello di Grandi di Spagna) e della qualifica di Magnate d'Ungheria, (questo più che un titolo era appunto una qualifica attribuita all'alta nobiltà magiara che avevano il diritto ereditario di sedere alla camera alta del Parlamento ungherese), salva l'annotazione nel Libro d'Oro della Nobiltà Italiana come qualifiche storiche.

        L'Ordinamento nobiliare non precisava la distinzione tra il titolo ed il trattamento ma questa è facilmente evidenziabile sul piano storico-giuridico. Il titolo indicava nel titolato l’esercizio di una funzione pubblicistica (giurisdizione feudale, carica di corte, partecipazione al governo aristocratico cittadino); il trattamento esprimeva l’appellativo rivolto al titolato nella vita di relazione. La stessa distinzione si manifesta ancora oggi in molti settori: Re e Maestà, Principe ed Altezza, Vescovo ed Eccellenza, Deputato e Onorevole, ecc..  
        La scomparsa nel tempo della funzione pubblicistica connessa al titolo e l’abolizione dei relativi privilegi, ha determinato la sopravvivenza nel titolo del solo aspetto onorifico, venendo il titolo ad identificarsi con il trattamento. La trasformazione del titolo in trattamento è ravvisabile nella diffusione dell'uso di certi titoli, indipendentemente dalla loro legittima spettanza secondo le leggi di successione. Per esempio gli ultrogeniti delle famiglie principesche, ducali, marchionali, comitali o baronali sono spesso appellati con il titolo che spetterebbe solo ai primogeniti; così come le mogli di questi e le donne di tali famiglie.

        Sul trattamento di Don, il DELLE PASTENE (Qualche breve considerazione sulla spettanza in Italia del trattamento di Don, in Riv. Ar., 1978, p. 40, con ampie note sull'origine storica di tale trattamento) scrive che “è stato sempre evidente come il trattamento di Don di antica derivazione, prenda piede in alcune province italiane per effetto della prolungata dominazione spagnola e si estenda anche in zone che, pur soggette ad altra sovranità, maggiormente risentirono di tale dominazione; (…) è da chiarire subito che esso costituisce in Spagna e negli Stati italiani che lo usarono, non più di un distintivo-appellativo personale ed ereditario di onore ed è anzi un trattamento e non un titolo; (…) tale trattamento perciò è in Italia tipico della Sardegna, delle Due Sicilie e del Milanese, tutti paesi già soggetti alla Spagna; in Sardegna i Savoia lo riconobbero e lo mantennero ai Nobili Cavalieri, in Lombardia lo riconobbero e lo mantennero gli Austriaci nonostante che fosse completamente estraneo ai loro ordinamenti, nel Napoletano e in Sicilia, infine, subito lo accettarono l’Austria e i Borbone; la Consulta Araldica del Regno d’Italia lo mantenne, oltre che ai Sardi, ai Lombardi e non ai Napoletani e Siciliani (dove viceversa era maggiormente radicato) e lo consentì a Principi e Duchi e alle famiglie romane dei Costaguti, Patrizi, Soderini e Theodoli”.

        Riguardo al trattamento di Magnifico, il Barone SELVAGGI (Del titolo di Magnifico, in Annuario Nobiliare-Diplomatico-Araldico, 1896, p. 65) scrive: “nella prima metà del secolo XVIII, nelle Patenti emanate dai Feudatari, sia in latino, sia in italiano, ai Giudici ordinari ed a quelli delle seconde cause, ai Governatori, ai Capitani delle Città, ai Consultori, agli Avvocati dei poveri, agli Erariali, soleva darsi il semplice Magnifico; (…) nella seconda metà poi dello stesso secolo crebbe tanto più l’ambizione e la vanità per questo titolo, in quanto che uomini sforniti d’ogni qualsiasi merito, ebbero la velleità di arrogarselo; e si aggiunge ancora che quanto più le cose mancavano alla sostanza, come res nullius, tanto più si approprio siffatto titolo onorifico; quindi per l’abuso e per altre cause, questo attributo decadde, e dopo la rivoluzione francese venne del tutto dimesso e disusato, chiamandosi ognuno indistintamente cittadino”.

         “Sull’attributo di Dominus nel secolo XIII si può dire (per Genova e la Liguria) che tale appellativo era riservato specialmente a chi rivestiva una carica pubblica molto elevata, quali i Capitani del Popolo, i Podestà in genere, i feudatari di territori autonomi rispetto al Comune o comunque rimasti importanti nonostante il giuramento alla Campagna di esso Comune, nonché i Vescovi ed Arcivescovi e pure i Sovrani; pertanto mi sembra che tale titolo non fosse puramente indicativo di nobiltà, ma bensì e specialmente di dignità; dopo il XIII secolo tale titolo venne esteso a molti altri individui, quali giudici, dottori di legge, etc.” (AGOSTO, in Riv. Ar., 1977, risposta al quesito 1416).

         Il trattamento di Eccellenza  era un tempo riservato a Re e Imperatori, ma quando questi assunsero quelli di Sire, Maestà, Altezza, si ebbe uno spostamento di grado del trattamento di Eccellenza che venne subito dopo quello di Altezza (sull'origine storica di tale trattamento, si veda: SELVAGGI, Sul titolo di Eccellenza, in Annuario Nobiliare-Diplomatico-Araldico, Roma, 1897, p.181). Negli stati preunitari era attribuito a ministri, alti funzionari, magistrati e ufficiali di grado elevato, per via della loro alta carica rivestita e quindi senza riferimento ad una condizione nobiliare. Il R.D. 19 aprile 1868, n. 4349, attribuiva tale trattamento agli appartenenti delle prime quattro categorie dell’ordine delle precedenze a Corte e nelle pubbliche funzioni e cioè: (Cat. I) Cavalieri della SS. Annunziata; (Cat. II) Presidenti del Senato e della Camera; (Cat. III) Ministri, Segretari di Stato, Ministri di Stato, Generali d’Armata ed Ammiragli; (Cat. IV) Primi Presidenti e Procuratori generali delle Corti di Cassazione, Presidente del Consiglio di Stato, della Corte dei Conti e del Tribunale Supremo di guerra. Non godevano del trattamento i Senatori ed i Deputati, iscritti nella V categoria ed i Prefetti, classificati nella VII. Con R.D. 14 settembre 1888, n. 6850, si estese il trattamento ai Sottosegretari di Stato, istituiti con la legge 12 febbraio 1888, n. 5195. Il R.D. 16 dicembre 1927, n. 2210, che non accolse i voti espressi dalla Commissione Araldica romana e napoletana per restituire il trattamento a Principi e Duchi, confermò le disposizioni anteriori estendendo il trattamento ai Prefetti in sede. Il R.D. 28 novembre 1929, n. 2029, attribuì tale trattamento anche ai Balì di Giustizia di lingua italiana dello S.M.O.M.. Con decreto luogotenenziale del 28 giugno 1945, n. 406, esso fu abolito.