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(Testo gentilmente concesso dall'autore: Conte Avv. Gherardo Guelfi Camaiani)  

         La legge non offre una nozione del predicato nobiliare; solo i vari testi unici relativi alle tasse sulle concessioni governative emanati nel periodo monarchico e nel periodo repubblicano (precedentemente a quello approvato con D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 641 che per primo ha eliminato ogni riferimento alla materia araldica) contengono dei riferimenti ad esso che è indicato come “il nome di antico feudo o possesso territoriale che si unisce al titolo”.
       Più precisamente, il predicato nobiliare può essere definito come un particolare attributo che può essere aggiunto ad un titolo nobiliare o ad un cognome al fine di meglio specificarlo; esso consiste nella preposizione segnacaso “di”, seguita dall’appellativo di una località geografica, anche di fantasia, oppure di una carica o di una impresa.

         E' possibile distinguere e classificare i predicati in tre categorie: feudali, allodiali e onorifici.
       Nel primo gruppo rientrano i predicati più antichi, collegati ad una investitura feudale del territorio indicato dal segnacaso (per esempio: Conte di Cavour). Nell’ambito di tali predicati è possibile evidenziare una sotto-categoria che si appoggia, anzichè su luoghi geografici, su cariche o diritti feudali parziari come ad esempio: Barone della terza dogana di mare di Catania, Signore di quindici onze sul grano di Bidona, ecc..
        I predicati allodiali, più recenti rispetto ai primi e caratterizzanti il periodo successivo all’abolizione della feudalità, pur corrispondendo a terre sottoposte al dominio del Sovrano concedente il titolo, non si ricollegavano ad alcuna prerogativa dell’investito sui territori oggetto della intitolazione ma costituivano dei semplici possedimenti patrimoniali.
        Nell’ultima categoria rientrano tutti quei predicati esclusivamente onorifici, consistenti in località geografiche di pura fantasia ovvero in particolari imprese: si pensi al Maresciallo Armando Diaz, insignito nel 1923 da S.A.R. Vittorio Emanuele III del titolo di Duca della Vittoria.

       Il secondo comma dell'art. XIV delle disposizioni transitorie e finali della Costituzione della Repubblica Italiana – per il quale: “i predicati di quelli (dei titoli nobiliari) esistenti prima del 28 ottobre 1922 valgono come parte del nome” -- ha conferito, quale norma precettiva di immediata applicazione, un vero e proprio diritto soggettivo alla "cognomizzazione" del predicato in favore di coloro ai quali spettava, anteriormente al 28 ottobre 1922, il titolo nobiliare connessovi.
       Il Costituente, se da un lato non ha ritenuto compatibile con le esigenze democratiche la conservazione di distinzioni come i titoli nobiliari, idonei a rafforzare i privilegi derivanti dalla nascita, ha tuttavia considerato meritevole di tutela l'aspetto relativo alla conservazione del patrimonio storico-familiare italiano; e soprattutto, se ha inteso negare qualsiasi efficacia giuridica allo status nobiliare, ha tuttavia mantenuto rilevanza giuridica al predicato come parte del nome in virtù della necessità della identificazione di persone appartenenti a famiglie già conosciute per mezzo del loro predicato.
         Conseguentemente al predicato nobiliare come segno distintivo della persona, utile alla sua esatta individuazione, è stata data rilevanza costituzionale come parte del nome ed è pertanto suscettibile di ricevere dall'ordinamento una tutela giuridica analoga.     
       Se chiunque, per meglio specificare la propria condizione familiare, può aggiungere al proprio il cognome di un suo ascendente, all'insignito di un titolo nobiliare con predicato è stato costituzionalmente riconosciuto il diritto di chiedere l'enunciazione del predicato medesimo come completamento del nome.        
    
       Tuttavia, nonostante l'ampiezza della norma costituzionale che non pone limiti di sorta, è da dire che non tutti i predicati sono ritenuti cognomizzabili. 
         Per esempio si ritengono non cognomizzabili le indicazioni di appartenenza ai ceti di patriziato o nobiltà civica (es: Patrizio di Firenze, Nobile di Pisa, ecc.). I titoli di Patrizio e Nobile civico erano accompagnati dalla indicazione della città alla quale la famiglia era aggregata, ma l'indicazione (preceduta dal “di”) della città che seguiva il titolo di Patrizio o di Nobile civico non può ritenersi equipollente del predicato e quindi non è cognomizzabile (si veda: MISTRUZZI DI FRISINGA, Trattato di Diritto Nobiliare Italiano, Giuffrè, Milano, 1961, pp. 344  e segg.). Come precisato anche dal Consiglio di Stato nel 1975 l'appartenenza ad un certo ceto di nobili è indicata con i titoli di Patrizio o di Nobile seguiti -- a seconda delle città e senza che la differenza abbia il minimo rilievo giuridico o storico -- da un aggettivo (ad es. Patrizio Veneto) o dal nome della città preceduto dal segnacaso “di” (ad es. Nobile di Ferrara) od indifferentemente nell'uno o nell'altro modo (Nobile di Firenze o Nobile Fiorentino): “questo dimostra che non si possono confondere le indicazioni di appartenenza anzidette con i predicati nobiliari”. Ciò considerando anche che nel Dizionario dei predicati della nobiltà italiana allegato all'Elenco Ufficiale Nobiliare del 1933 (e supplemento del 1936) non sono comprese le indicazioni di appartenenza ai ceti di patriziato o nobiltà civica e che la ratio della norma costituzionale fu quello di conservare un elemento essenziale di identificazione della persona, ma le le indicazioni di appartenenza ai patriziati o alle nobiltà civiche “in nessuna epoca ed in nessuna parte d'Italia esse furono mai assunte come parte del nome”. 

    Sull'argomento relativo al procedimento da seguire per cognomizzare i predicati nobiliari, possiamo riportare il contenuto della recente Circolare n. 10/2008 del Dipartimento per gli Affari Interni e Territoriali, Direzione Centrale per i Servizi Demografici, Area III, Stato Civile, del Ministero dell'Interno del 3 settembre 2008.
    Essa ha ribadito che per la cognomizzazione dei predicati nobiliari si deve proporre un'azione contenziosa ordinaria nei confronti del Pubblico Ministero, dell'Ufficio Araldico presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri e degli eventuali controinteressati, restando inammissibile la procedura amministrativa avanti il Ministero dell'Interno, proposta ai sensi degli artt. 84 e segg. del D.P.R. 396/2000, riguardante le aggiunzioni di cognome e più in generale i cambiamenti e le modificazioni del cognome.
    Il Ministero ha ricordato che, come precisato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 101 dell'8 luglio 1967, l'aggiunta al nome dei predicati esistenti in data anteriore al 28 ottobre 1922 trova la sua fonte non nel diritto al titolo nobiliare -- diritto non più sussistente in virtù del disconoscimento dei titoli nobiliari operato con l'art. XIV delle disp. trans. della Costituzione -- “ma nel già intervenuto riconoscimento, che assume il ruolo di presupposto di fatto del diritto alla cognomizzazione”. Dunque, la cognomizzazione del predicati nobiliari può essere ottenuta solo con riferimento ai predicati su cui poggiano quei titoli nobiliari esistenti prima del 28 ottobre 1922 e riconosciuti (con provvedimento giurisdizionale o amministrativo ottenuto in base alla legislazione araldica vigente durante il passato ordinamento monarchico) prima dell'entrata in vigore della Costituzione. Secondo la Corte, “siffatta conclusione, oltre a rispondere all'esigenza di una corretta interpretazione sistematica desunta dal necessario coordinamento dei due primi commi della XIV disposizione, trova pieno conforto nel lavori preparatori, dal quali si ricava che intento del Costituente fu quello di evitare che dal disconoscimento del titoli nobiliari potesse derivare una lesione del diritto al nome (il che, ovviamente, esclude la cognomizzazione attuale di predicati mai riconosciuti e perciò mai legittimamente usati come elemento di individuazione del casato) ed è nel contempo l'unica che appaia conciliabile con la "pari dignità sociale" garantita dal primo comma dell'art. 3 della Costituzione”.
    Nella suddetta Circolare si legge che “dalle argomentazioni giuridiche sopra riportate discende non solo l'impossibilità di cognomizzare predicati che, ancorchè siano anteriori al 28 ottobre 1922, non abbiano formato oggetto di riconoscimento durante il vigore del vecchio ordinamento, ma anche la necessità che le vicende relative al diritto al riconoscimento della cognomizzazione dei predicati debbano essere rimesse alla competenza esclusiva della autorità giudiziaria ordinaria, secondo le regole che il vigente ordinamento detta per la tutela del diritto al nome”. Dunque, solo l'autorità giudiziaria ordinaria ha competenza a verificare la titolarità del diritto alla cognomizzazione del predicato nobiliare: in tal caso infatti “trattasi di una azione di accertamento di un diritto soggettivo dei cittadini che non rientra nell'ambito discrezionale dell'autorità amministrativa”. Il cittadino “dovrà pertanto necessariamente proporre una azione in via contenziosa ordinaria nei confronti del Pubblico Ministero, dell'Ufficio Araldico presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, nonché nei confronti degli eventuali controinteressati”. In caso di domanda di cognomizzazione di predicato nobiliare proposta in via amministrativa, le Prefetture dovranno informare i richiedenti della necessità del procedimento giudiziario suddetto, facendo presente che se intendono proseguire nell'iter amministrativo le loro domande verrebbero rigettate per carenza di competenza.
    Il Ministero ha precisato poi che comunque, in nessun caso, “sarà possibile utilizzare la procedura di mutamento del cognome al fine di creare un cognome basato su di un predicato inesistente ovvero non riconosciuto nei limiti temporali di cui alla disposizione XIV (...). Pertanto, nel caso di presentazione di domanda di modifica o aggiunta di cognome, al fine di aggiungervi un predicato, sarà opportuno acquisire in ogni caso in prima battuta il parere dell'Archivio Centrale dello Stato – Ufficio Consulta Araldica e, nel caso di risposta negativa quanto alla sussistenza di un riconoscimento di un simile predicato, la domanda sarà rigettata”. 
    Infine, la Circolare ha confermato che la procedura prevista per le aggiunzioni di cognome rimane perseguibile nell'ipotesi in cui si chieda di aggiungere al proprio un secondo cognome (della madre o di altro parente) già comprendente un predicato nobiliare in quanto risultante già cognomizzato.